venerdì 31 dicembre 2010

FinisTerrae Uomo dell'anno 2010

La nostra scelta per l'uomo dell'anno 2010 è Josè Mourinho.
Non siamo tifosi interisti e neanche del Real Madrid, ma bisogna riconoscere le sue indubbie capacità di leader carismatico.
Lo special one ha saputo prendere un branco di buoni giocatori e renderlo un gruppo invincibile, ha saputo trasformare un ambiente rassegnato alla sconfitta in una palestra di vittoria e ha saputo chiedere dei sacrifici da gregario a campioni affermati tutto in nome del supremo valore della vittoria.
E' senza dubbio lui, il vero artefice della Triplete.
Magari non sarà un fine tattico o uno stratega del campo verde, ma il codice Mourinho dovrebbe essere studiato ed applicato non solo allo sport.

p.s.: da tifoso dell'Ascoli, con simpatie juventine, pensate a quanto mi è costato scrivere questo post.

FinisTerrae Donna dell'anno 2010

La sola notizia della sua liberazione è già una grande notizia. Il coraggio di Aung San Suu Kyi è un faro che illumina, dal tetro regime totalitario birmano, i cuori di tutti coloro che si battono per ottenere o per preservare la libertà.
Con queste poche parole noi onoriamo il suo esempio e la sua forza, e grazie a lei rendiamo omaggio a tutte quelle donne che soffrono le ingiustizie per salvare la loro dignità e quella del mondo intero.

FinisTerrae Libro dell'anno 2010

I Conformisti di Pierluigi Battista è un libro che è pura dinamite, in un mondo, come quello dei (para)intellettuali italiani.
Un libro che, una prosa elegante ed asciutta, indica la nudità dei re di una cultura nazionale che, come un pendolo schopenaueriano, oscilla tra il pop ed il trash.
Una opera dagli echi nicciani che ricorda Raymond.

FinisTerrae Disco dell'anno 2010



Per quel che riguarda il disco dell'anno non abbiamo saputo decidere per cui, salomonicamente, assegniamo un ex aequo a due album:

 Arcade Fire, "The Suburbs" Mumford & Sons, "Sigh No More" 


Gli Arcade Fire sono stabilmente dentro la mia playlist dell'Ipod fin dai tempi di Neon Bible, ma con questo album hanno decisamente virato verso l'Olimpo. Con questa opera hanno saputo togliere qualche peso di troppo dalla loro musica senza perdere verve, intelligenza e prospettiva.


Diverso discorso per i Mumford & Sons che con il loro sound pop folk spruzzato quanto basta di rock hanno esordito alla grande, rinvigorendo un po' una ondata britannica che mostrava un pizzico di stanchezza.

sabato 18 dicembre 2010

I tre dell'operazione Terzo Polo

In altre occasioni la nascita di un altro polo, nel nostro sistema politica, sarebbe stato da me accolto molto positivamente, ma quello che vogliono fare Casini, Fini, Rutelli ed altri comprimari non mi trova d'accordo.
Magari sarò in errore, e non lo escludo.
Magari questo polo della Nazione è proprio la risposta ai problemi che attanagliano la nostra Italia.
Lo scopriremo solo vivendo, come canta Battisti in una sua celebre canzone.
Il Polo della Nazione, per inciso spero che gli trovino presto un nome un po' più accattivante, nasce in seguito ad una cocente sconfitta parlamentare. E' inutile girarci intorno.
Certamente il 14 dicembre Berlusconi non ha vinto la guerra, ma ha segnato un notevole punto a suo favore. Segno che il fascino del Cavaliere è abbastanza integro, e sappiamo per esperienza che ciò non è poca cosa.
Ma quello che l'operazione Terzo polo non riesce a convincermi è il fatto che la ragione stessa di questo schieramento rischia di minare il massimo risultato politico e di sistema istituzionale che il berlusconismo ha saputo guadagnare e guadagnarsi: il bipolarismo e l'alternanza.
Non è poca cosa, visto che molti paesi lo hanno conquistato mediante sanguinose rivoluzioni o guerre civili.
Silvio Berlusconi, volenti o nolenti, è stato un fantastico catalizzatore della costruzione istituzionale italiano, ed il fattore di dinamismo del sistema politico e partitico italiano.
Quello che ancora non riesce a portare a compimento è l'adeguamento delle regole formali della Costituzione alla prassi quotidiana della vita istituzionale italiana. Una volta che ci sarà riuscito, finalmente potremmo dire addio a questo lungo periodo di transizione.
Una transizione da cui non si esce minando l'unico fattore di novità politica, come ha cercato di fare il polo della Nazione provando a disarcionare il Presidente del Consiglio in carica.
Questo antiberlusconismo, infatti, è un altro punto debole che rischia di incrinare le fondamenta del patto del trio centrista.
Un antiberlusconismo di destra che sembra trionfare all'interno di Futuro e Libertà. La formazione finiana, infatti,è quella che più di tutte rischia di caratterizzarsi come una macchietta dell'Italia dei Valori, all'interno di una ampia collocazione di centrodestra o presunto tale.
Un antiberlusconismo (di centrodestra) che respinge piuttosto che attrarre e che fa il paio con la destra della bava alla bocca che tutti i finiani schifano.
Questa è la colpa maggiore del terzo polo sono essenzialmente queste.
Quella di non aver saputo elaborare una valida proposta che fosse con Berlusconi, senza essere né sotto e né contro.
Una proposta che fosse migliorativa del berlusconismo, ma non contraria o alternativa.
Essere alternativi ai due poli, è oggi una posizione esiziale perchè condanna, nel medio e lungo periodo, alla inutilità politica.
E l'inutilità politica è molto peggio che perdere per tre voti.

giovedì 16 dicembre 2010

Sconsy (De Gregorio)

Comincio ad aver nostalgia delle Frattocchie e delle Case del Popolo. E non scherzo.
Non parliamo poi della tristezza che mi attanaglia ogni volta che guardo i film di Peppone e Don Camillo.
Vorrei ritornare un liceale solo per scontrarmi ancora con i miei compagni, in tutti i sensi, di classe e di istituto.
Vi prego, qualcuno alzi un pugno chiuso e canti Contessa oppure l'Internazionale.
Non è più possibile, e tollerabile, leggere post come quello che ha scritto il direttore, di qualcosa che somiglia a l'Unità, Concita De Gregorio, dal titolo emblematico: Un paese sconfitto.
A leggerlo tutto, dopo la disperazione, si capisce il perchè "questi non vinceranno mai", come profetizzò Moretti qualche tempo fa.
Da dove vogliamo cominciare ?
Anzitutto mi verrebbe da dire a quale titolo scrive a nome del Paese. E di quale paese poi.
L'Italia è una società complessa ed ancora più complesso è fotografare un paese, come il nostro, sotto il profilo politico. Troppo profonde e troppo articolate sono le linee di frattura sia ideologiche che prepolitiche e metapolitiche.
La politica oggi è trattata oggi come se fosse un "(a)social network" dove esiste un solo tasto "Non mi piace" ed, a seconda se si clicca o meno, si decide, ma spesso gli altri decidono per te, da che parte si sta.
Ma il gradimento al contrario non è mai stata una categoria della politica. Esiste la passione, la militanza, il ragionamento, il consenso, il ragionamento, il dialogo, la dialettica ed anche il confronto.
Mai il "non mi piace"
Anche il binomio classico tra destra e sinistra è oggi quanto mai usurato ed alquanto cangiante, poichè tutto quello che sostiene, dice e fa Berlusconi è destra, il resto è sinistra, accettata acriticamente ed aprioristicamente.
Ovviamente, poi, il paese, che ancora vede un Governo, costituzionalmente legittimo, ancora in carica dopo una democratica votazione parlamentare, non può che avere una connotazione negativa, ed, infatti, è sconfitto.
Perfetta scolaretta della lezione, invero un po' datata, di Eco, il direttore decide, anche legittimamente, di schierarsi dalla parte degli apocalittici (profeti di sventura) contro gli integrati (berlusconiani).
Ma i fuochi (fatui) dell'artificio retorico non si fermano qui, ma continuano innescando subito la saldatura della valenza negativa della sconfitta alle immagini dei leghisti avvolti nel tricolore e della indegna guerriglia urbana, scatenatasi a Roma l'altro ieri.
Anzitutto ci sarebbe solo da essere contenti del fatto che i leghisti si avvolgano nel tricolore, visto che, quando erano "una costola della sinistra", lo volevano buttare nel cesso.
Ma il climax lo si raggiunge subito dopo.
Il governo ottiene la maggioranza alla Camera per tre voti - 311 a 314 - e da qualunque parte la si guardi, la giornata campale di ieri, da qualunque fotogramma si decida di partire è una giornata cupa, grottesca, ridicola, misera, a tratti tragica: in strada tragica. È la giornata della sconfitta: la giornata che segna la sconfitta della politica intesa come confronto di idee e di progetti, l’unico modo lecito di intenderla, la sconfitta di un paese che esibisce al mondo intero come successo la tenuta di un governo che compra col denaro e col ricatto i parlamentari che gli servono e una piazza che dice che la sfiducia è nelle strade, che siamo a un passo dall’irreparabile, che basterebbe niente, ma proprio niente, per trasformare la guerriglia urbana in guerra civile e a poco varrebbe dopo cercare i colpevoli."
Un capolavoro di affabulazione del vuoto ideologico, una pietra miliare della piagnoneria radical chic, un picco della narrazione solpsista e stantia di una certa sinistra nouvelle vague, una pole position di un savonarolismo auto assolutorio ed auto consolatorio di uno schieramento ripiegato su sé stesso e pronto ad implodere.
Il segno linguistico ed ideale di una sinistra inabile ad una qualunque azione politica, nonostante un appannamento del Governo, incapace di intercettare un minimo di nuovo consenso sociale e che non riesce a fare i conti con il suo ingombrante passato che le impedisce di entrare nel futuro e la relega sia ad una battaglia  conservatrice sull'esistente sia al servilismo di effimeri fenomeni, come Fini, accettati ed osannati acriticamente.
Una sinistra spettatrice non protagonista e paranoica che vede complotti ed infiltrati dappertutto, che ha scelto l'indignazione come surrogato dell'azione che di civile aspetta solo la guerra.
Per questa sinistra ci saranno sempre uno Scilipoti ed un Razzi pronti a tagliarle le gambe, perchè sono solo questi i personaggi che riesce a raccattare nelle sue liste elettorali o nominali.
Una sinistra, nostalgica del 68, che, sfasciando il sistema d'istruzione, con una infornata di docenti frutti del sei politico ha permesso la nascita del Cepu, contro cui è inutile scagliarsi contro adesso.
Chi ha più soldi e più potere vince, è questa l’unica regola. Chi ha più soldi, chi può pagare di più e minacciare più forte, chi è più persuasivo. Non è più una questione di idee, la politica non c’entra:...
Parole dure, ma pronunciate da chi è erede di un partito che prendeva soldi dal patto di Varsavia, da chi è stipendiato da Soru, il patron di Tiscali, da chi ha come riferimento De Benedetti ed il figlio di Colaninno come deputato, da chi ha sostenuto chi ha imposto Calearo come capolista, da chi ha sognato la Moratti (Bepi) sindaco di Milano contro Albertini, da chi stava con chi chiedeva al telefono: "Allora, abbiamo una banca ?", per finire da chi ha un tesoriere di partito che, di fronte ad un emendamento che voleva togliere alcuni euro al rimborso elettorale per i partiti per darli ai ricercatori universitari, ha bollato tale proposta come volgare, suonano quantomeno fuori luogo, se non proprio di cattivo gusto.
...non è un Italia in cui continuare a vivere, o per chi lo preferisca tirare a campare, sereni. Non si tira a campare così.
Finisce così l'intervento del direttore De Gregorio.
Così come finiscono di solito gli appelli di Camilleri ed Eco sotto campagna elettorale.
Noi speriamo che questa sinistra, di cui la direttrice Concita, si è fatta cantore, assecondi questa sua volontà.
Sappiamo benissimo che in Italia non sono tutte rose e fiori, ma almeno rimarremo a cercare di migliorare le cose.
Noi questo paese lo amiamo davvero e vogliamo che vinca.
Tutto intero...

martedì 14 dicembre 2010

Non è riuscito l'All In di Fini

314 a 311, i numeri sono numeri e danno l'esatta fotografia di una vittoria di Silvio Berlusconi nello scontro con Fini.
I modi non contano, perchè la fiducia di oggi non sarebbe mai servita per continuare a governare, visto che oramai si andrà al voto al massimo ad Aprile.
Ottenere la fiducia serviva solo per vedere se Berlusconi era ancora capace di dettare i tempi e i modi della politica italiana. Ebbene il presidente del Consiglio ha fatto quello che sa fare meglio: uscire dall'angolo e piazzare un colpo mortifero.
Eppure dopo 16 anni, alcuni avrebbero dovuto saperlo e prevederlo.
Per ironia della sorte a salvare il Premier sono stati tre esponenti di Futuro e Libertà per l'Italia: Moffa, Siliquini e Polidori.
Come nel Texas Hold'em, Gianfranco Fini ha giocato il suo All In ed ha perso, a causa di coloro che avrebbero dovuto aiutarlo.
Qui non abbiamo mai chiesto le sue dimissioni, ma crediamo, poichè in politica la forma è anche sostanza, che questo atto sia un atto dovuto.
Quale credibilità politica, nella costruzione di questo terzo polo, avrebbe un presidente di un partito che non riesce ad imporre, in un passaggio parlamentare fondamentale, la propria disciplina ai suoi parlamentari ?
Ovviamente, insieme a Fini, e per gli stessi motivi politici (e partitici) dovrebbe dare le dimissioni da capogruppo anche Italo Bocchino.
Con questi numeri, e siamo convinti che lo sappia anche il Cavaliere, la vittora politica non equivale alla governabilità, ma non era questo lo scopo di questa votazione.
Da domani si prospettano tempi duri per il Governo in Parlamento, soprattutto alla Camera, ma tranne la riforma della Università ed il solito milleproroghe crediamo che non ci saranno altre leggi importanti e, forse, nessuna altra questione di fiducia.
Dopo di oggi, ne abbiamo avuto abbastanza.

lunedì 13 dicembre 2010

Troppo tardi, troppi tordi

Non mi sono mai appassionato alle classificazioni ornitologiche, anzi, da politicamente scorretto, spesso uso il termine uccello allusivamente per indicare il membro maschile, ma spero che chi mi legge voglia usarmi un po' di comprensione e di tolleranza nei riguardi del titolo di questo post.
Oramai è tardi e domani, comunque andranno le cose, si andrà a votare forse già a marzo prossimo.
Possiamo solo dire che le colombe si sono alzate in volo troppo tardi ed i falchi hanno volato troppo a lungo.
Spiace che il centrodestra, questo centrodestra che pensavo fosse stato costruito faticosamente con la nascita del Popolo della Libertà si sia, quasi irrimediabilmente, sciolto per ragioni interne.
Forse dirò una cosa insensata e che può suonare quasi eresia, ma più che una lotta tra Berlusconi e Fini, a me è sembrata più una lotta tra fazioni in lotta che hanno saputo ingabbiare i leader, rendendoli sordi alle ragioni della diplomazia e della ragionevolezza.
Ma oramai è tardi ed è bene che ci sia il redde rationem.
Da parte mia non posso che schierarmi ancora con il Popolo della Libertà.
Ho speso gli ultimi decenni della mia avventura politica predicando, qualche volta da solo, sulla grande opportunità che un partito unitario del centrodestra poteva rappresentare ed oggi, di fronte al suo sgretolamento parlamentare, mi sento ancora più convinto delle ragioni della unità e di quello spirito del 1994 che è stato fonte di grandi speranze e di grandi aspettative.
Qualcuno potrà ritenermi un illuso, un servo di Berlusconi, un minorato mentale ed un ascaro che ha portato il cervello all'ammasso.
A priori non lo escludo, ma sono talmente innamorato della utopia del partito liberale di massa che mi sento di combattere tutte le storture che, indubitabilmente, ci sono all'interno del PdL continuando a starci insieme piuttosto che contro.
Oggi sono più che mai convinto che sia possibile contribuire alla creazione di una nuova classe dirigente dentro il PdL avendo conosciuto l'entusiasmo, la ragione e la passione di tanti ragazzi e ragazze che volontariamente si sono avvicinate al berlusconismo e che, in tutta onestà, non me la sento di lasciare in balia dello sterile muscolarisimo alla Santanchè.
Per me il nocciolo duro del berlusconismo sono le genialità economiche di Tremonti, la visione strategica di Brunetta, la lucidità intellettuale di Quagliariello, la logica serrata di Pera, la rigorosa abnegazione di Sacconi, la passione focosa di Miccichè, il radicamento identitario di Alemanno e la cristallina trasparenza del liberalismo di Martino.
In nome di queste idealità ho deciso di restare dove sono, anche se col cuore a pezzi.
Da domani ci sarà un bisogno mostruoso di pontieri, non più di falchi e colombe.
Oggi purtroppo è troppo tardi a causa dei troppi tordi.

domenica 12 dicembre 2010

Sbagliano anche su questo...

Non vorrei che i sinistri italiani si sbaglino anche sulle date ed abbiano confuso il 14 dicembre 2010 con il 21 dicembre 2012.
Qualcuno li avverta, altrimenti avremmo un aumento di suicidi.
Per lo meno si autoconsoleranno con il mantra di essere sempre in anticipo sulla storia.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il vero problema sarà il 15

Che il 14 dicembre prossimo, Berlusconi ottenga o meno la fiducia è un problema relativo. Il vero scoglio sarà cosa succederà dal 15 in poi.
Un governo con una fiducia risicata, dopo aver ottenuto la maggioranza elettorale più grande dal dopoguerra, sarà oggetto di continue imboscate parlamentari e continui ricatti da parte di gruppetti marginali, ma decisi ai fini della tenuta.
Un Berlusconi sfiduciato sarebbe una iattura sia per il contraccolpo sui mercati internazionali, volenti o nolenti il consenso personale del Premier è stato un fattore di stabilità in questi ultimi decenni, sia per i risvolti interni che potrebbe innescare un risultato di questo tipo.
Se il Cavaliere venisse sfiduciato da tutte e due le Camere, una sola cosa è certa. Non potrebber ottenere il reincarico.
Se, sfiduciato Berlusconi, si andasse alle elezioni anticipate, come crediamo, ci aspetta la più truculenta, brutta, e sanguinosa campagna elettorale di sempre, con le indubbie ripercussioni che gli echi potrebbero avere su un tessuto civile e sociale già sbrindellato.
Se il Presidente Napolitano, costituzionalmente legittimato, dovrebbe dare un mandato esplorativo ad una nuova personalità, allora gli scenari sarebbero molteplici.
Se il nuovo incaricato fosse un autorevole esponente del PdL, Letta o Tremonti, potrebbe accadere che, almeno formalmente, la volontà degli elettori sarebbe stata salvata, poichè potrebbe mettere insieme una maggioranza allargata al terzo polo, ma con il nocciolo duro di PdL e Lega.
Se l'incarico venisse affidato ad una personalità esterna non gradita al PdL ed alla Lega e questi riuscisse a mettere insieme una maggioranza, con PdL e Lega all'opposizione, allora le cose potrebbero incancrenirsi ed intorpidirsi.
Alla lettera della Costituzione formale, infatti, si contrapporebbe lo spirito di una Costituzione materiale che tutti gli attori politici oggi operanti hanno implicitamente avallato con il loro comportamento nel corso di questi anni, ed il presidente Napolitano non potrebbe non tener conto di questo fatto.
Cosa fare allora ?
Sinceramente fare previsioni oggi è quantomeno difficile a meno di non chiamarsi Nostradamus.
Tutti allora guardano a Berlusconi, l'unico capace di poter tirare fuori il classico cilindro dal cappello.
Noi possiamo solo dire quello che faremmo noi in una situazione del genere.
Ebbene il 13 pomeriggio convocherei una conferenza stampa per annunciare la mia disponibilità a dimettermi dall'incarico di Presidente del Consiglio a patto che si dimetta anche il presidente della Camera, (simul stabunt, simul cadent) e darei la mia disponibilità a fare il passo indietro dal Governo all'esclusivo patto che venga approvata una legge costituzionale che istituisca una nuova assemblea costituente di massimo 100 membri, eletta con il proporzionale puro su un unico collegio nazionale con le preferenze.
Ovviamente con la clausola che la sua durata deve essere di massimo 3 anni e che i membri di questa assemblea non possono ricoprire nessun incarico politico elettivo o di governo a qualunque livello.
Detto questo aspetterei cosa succede e poi mi regolerei di conseguenza.
A quel punto tutti dovrebbero scoprire le carte e si vedrebbe chi ha il punto migliore.

domenica 5 dicembre 2010

Dall'Università al posto in banca, solo andata

Si nasce incendiari e si muore pompieri.
Forse questo è il miglior commento (popolare) alla manifestazione di protesta degli studenti contro la riforma dell'università del ministro Gelmini.
Diciamocelo francamente e senza ipocrisie, il ribellismo giovanile, la protesta degli studenti, i cortei, le occupazioni e gli scioperi trovano nell'immaginario collettivo un terreno fertile perchè riportano alla memoria di tutti quel periodo scolastico che, nei nostri ricordi, è sempre rivissuto con un certo rimpianto e con una certa nostalgia.
E' come se, empatizzando con questi ragazzi, si tornasse ragazzi anche noi, a quel periodo in cui si poteva sognare di rivoluzionare e cambiare il mondo.
"Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo". Così cantava, nostalgicamente, Gino Paoli, salvo poi concludere amaramente, alla fine, che era rimasto solo lui a sognare visto che gli altri avevano trovato un lavoro in banca o una ragazza.
"Compagno di scuola, compagno di niente. Ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?". L'autore di queste parole (e della musica) è, invece, Antonello Venditti, il quale non si è voluto far mancare una comparsata sul tetto (che scotta) della facoltà di Architettura di Roma.
Queste due citazioni sono emblematiche di un clima diffuso che si respira attorno all laurea, il famoso pezzo di carta, il cui fine dovrebbe essere quello di un posto impiegatizio, cimitero degli elefanti della creatività, della ribellione dei giovani.
Sui giornali, per primi quelli contro il governo, è stato tutto un rifiorire di elegie, un florilegio di complimenti e uno sperticato elogio di queste proteste.
Ovviamente non ci siamo fatti mancare neanche il consueto e consunto paragone con il '68.
Rimando che è, praticamente, un riflesso condizionato di una certa sinistra, incapace, parolaia, perdente, rassegnata e votata alla conservazione che immagina e proietta i suoi desiderata su quei cortei, sperando che gli studenti riescano, inaspettatamente, a fare quello che loro non sono stati capaci di fare in quasi 20 anni: cacciare e battere Berlusconi.
Fortunatamente qualche voce fuori dal coro c'è stata, come quella di Franceso Giavazzi sul Corriere, che ha ricordato quello che, purtroppo, facciamo finta di non capire: l'Università italiana è profondamente malata ed incapace di rialzarsi.
Baronismo, conservazione, esclusione del merito, burocratismo, immobilismo culturale sono queste le malattie che si sono metastizzate in quella che noi chiamiamo Università e, non è un caso, se alla protesta dei ragazzi si sia unita anche quella dei baroni e degli aspiranti tali.
Uniti nella conservazione e nella propagazione delle metastasi culturali, è questa la saldatura ideologica alla base di questa (ennesima) onda.
La riforma Gelimini non è la riforma perfetta, ci mancherebbe. E' la riforma timida e timorosa che è possibile fare oggi nelle note condizioni politiche. Ma almeno servirà a scardinare qualche meccanismo di resistenza conservatrice e qualche feudo baronale. Forse è una riforma omeopatica in un corpaccione che ha bisogno di una cura medica da cavallo, ma almeno non è il solito pannicello caldo.
Noi la pensiamo esattamente come Luigi Einaudi, grande liberale, che nel 1947 scrisse:
"
Finché non sarà tolto qualsiasi valore legale ai certificati rilasciati da ogni ordine di scuole, dalle elementari alle universitarie, noi non avremo mai libertà di insegnamento; avremo insegnanti occupati a ficcare nella testa degli scolari il massimo numero di quelle nozioni sulle quali potrà cadere l’interrogazione al momento degli esami di stato. Nozioni e non idee; appiccicature mnemoniche e non eccitamenti alla curiosità scientifica ed alla formazione morale dell'individuo.
Sono vissuto per quasi mezzo secolo nella scuola; ed ho imparato che quei pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea, certificati di licenza valgono meno della carta su cui sono scritti. Per alcuni - vogliamo giungere al 10 per cento dei portatori di diplomi? – il giovane vale assai di più di quel che sta scritto sui pezzo di carta od, almeno, del pregio che l'opinione pubblica vi attribuisce; ma « legalmente » l'un pezzo di carta è simile ad ogni altro e la loro contemplazione non giova a chi deve fare una scelta tra coloro che offrono se stessi agli impieghi ed alle professioni. (Luigi Einaudi - Sul monopolio culturale della scuola di stato )

La vera riforma per noi è questa: l'abolizione del valore legale del titolo di studio.
La vera riforma che consentirà non solo il viaggio dall'Università al posto in banca solo andata, ma anche il ritorno.