domenica 5 dicembre 2010

Dall'Università al posto in banca, solo andata

Si nasce incendiari e si muore pompieri.
Forse questo è il miglior commento (popolare) alla manifestazione di protesta degli studenti contro la riforma dell'università del ministro Gelmini.
Diciamocelo francamente e senza ipocrisie, il ribellismo giovanile, la protesta degli studenti, i cortei, le occupazioni e gli scioperi trovano nell'immaginario collettivo un terreno fertile perchè riportano alla memoria di tutti quel periodo scolastico che, nei nostri ricordi, è sempre rivissuto con un certo rimpianto e con una certa nostalgia.
E' come se, empatizzando con questi ragazzi, si tornasse ragazzi anche noi, a quel periodo in cui si poteva sognare di rivoluzionare e cambiare il mondo.
"Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo". Così cantava, nostalgicamente, Gino Paoli, salvo poi concludere amaramente, alla fine, che era rimasto solo lui a sognare visto che gli altri avevano trovato un lavoro in banca o una ragazza.
"Compagno di scuola, compagno di niente. Ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?". L'autore di queste parole (e della musica) è, invece, Antonello Venditti, il quale non si è voluto far mancare una comparsata sul tetto (che scotta) della facoltà di Architettura di Roma.
Queste due citazioni sono emblematiche di un clima diffuso che si respira attorno all laurea, il famoso pezzo di carta, il cui fine dovrebbe essere quello di un posto impiegatizio, cimitero degli elefanti della creatività, della ribellione dei giovani.
Sui giornali, per primi quelli contro il governo, è stato tutto un rifiorire di elegie, un florilegio di complimenti e uno sperticato elogio di queste proteste.
Ovviamente non ci siamo fatti mancare neanche il consueto e consunto paragone con il '68.
Rimando che è, praticamente, un riflesso condizionato di una certa sinistra, incapace, parolaia, perdente, rassegnata e votata alla conservazione che immagina e proietta i suoi desiderata su quei cortei, sperando che gli studenti riescano, inaspettatamente, a fare quello che loro non sono stati capaci di fare in quasi 20 anni: cacciare e battere Berlusconi.
Fortunatamente qualche voce fuori dal coro c'è stata, come quella di Franceso Giavazzi sul Corriere, che ha ricordato quello che, purtroppo, facciamo finta di non capire: l'Università italiana è profondamente malata ed incapace di rialzarsi.
Baronismo, conservazione, esclusione del merito, burocratismo, immobilismo culturale sono queste le malattie che si sono metastizzate in quella che noi chiamiamo Università e, non è un caso, se alla protesta dei ragazzi si sia unita anche quella dei baroni e degli aspiranti tali.
Uniti nella conservazione e nella propagazione delle metastasi culturali, è questa la saldatura ideologica alla base di questa (ennesima) onda.
La riforma Gelimini non è la riforma perfetta, ci mancherebbe. E' la riforma timida e timorosa che è possibile fare oggi nelle note condizioni politiche. Ma almeno servirà a scardinare qualche meccanismo di resistenza conservatrice e qualche feudo baronale. Forse è una riforma omeopatica in un corpaccione che ha bisogno di una cura medica da cavallo, ma almeno non è il solito pannicello caldo.
Noi la pensiamo esattamente come Luigi Einaudi, grande liberale, che nel 1947 scrisse:
"
Finché non sarà tolto qualsiasi valore legale ai certificati rilasciati da ogni ordine di scuole, dalle elementari alle universitarie, noi non avremo mai libertà di insegnamento; avremo insegnanti occupati a ficcare nella testa degli scolari il massimo numero di quelle nozioni sulle quali potrà cadere l’interrogazione al momento degli esami di stato. Nozioni e non idee; appiccicature mnemoniche e non eccitamenti alla curiosità scientifica ed alla formazione morale dell'individuo.
Sono vissuto per quasi mezzo secolo nella scuola; ed ho imparato che quei pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea, certificati di licenza valgono meno della carta su cui sono scritti. Per alcuni - vogliamo giungere al 10 per cento dei portatori di diplomi? – il giovane vale assai di più di quel che sta scritto sui pezzo di carta od, almeno, del pregio che l'opinione pubblica vi attribuisce; ma « legalmente » l'un pezzo di carta è simile ad ogni altro e la loro contemplazione non giova a chi deve fare una scelta tra coloro che offrono se stessi agli impieghi ed alle professioni. (Luigi Einaudi - Sul monopolio culturale della scuola di stato )

La vera riforma per noi è questa: l'abolizione del valore legale del titolo di studio.
La vera riforma che consentirà non solo il viaggio dall'Università al posto in banca solo andata, ma anche il ritorno.

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